Un gruppo di giovani stretti in una stanza di via Meucci ad Aprilia, sede di Legambiente. Ad unirli la passione per la legalità, la necessità di svegliare le coscienze della loro terra e prepararle alla giornata del 22 marzo 2014, quando per la prima volta a Latina saranno pronunciati i nomi delle vittime delle mafie, quando per le strade della “Olim Palus” sfileranno i parenti delle vittime, grazie all’impegno di Libera e Don Luigi Ciotti. In mezzo a questi giovani, il 4 dicembre c’era Alessandro Antiochia, fratello di Roberto, poliziotto ucciso il 6 agosto del 1985 nel tentativo di proteggere Ninni Cassarà, Vice Questore della Squadra Mobile di Palermo, durante un attentato.
«Roberto era uno di quelli in gamba. Uno di quelli che sin da ragazzino voleva fare il poliziotto. Aveva deciso che quello sarebbe stato il suo mestiere quando una compagna di classe, a 14 anni, era morta per droga». Ha 18 anni quando entra in Polizia, poi lavora a Milano, Torino, Roma e Palermo, dove collabora a delicate indagini alla Squadra Mobile. Ma la sua vita viene stroncata nell’estate dei suoi 23 anni. «È una giornata caldissima. Roberto accompagna con gli altri Cassarà a casa. Tutti sanno che un attentato è imminente. Scendono dalla macchina per i controlli. Anche Roberto scende. Guarda in alto. C’è la moglie di Ninni che è affacciata. Fa segno che è tutto ok. Poi, all’improvviso, l’inferno. Si aprono le finestre del palazzo di fronte e 9 uomini armati di kalashnikov cominciano a sparare sull’Alfetta di scorta. Roberto viene colpito alla testa e ad una gamba. Muore subito. Cassarà, ferito, si trascina fino al portone. Dall’alto la moglie vede tutto. Scende di corsa, in tempo per abbracciare Ninni che le spira tra le braccia». Le condanne all’ergastolo di Riina, Provenzano, Greco, Brusca, Madonia, sono arrivate nel 1995. Ma il dolore non è diminuito. «A darmi la forza e a cercare di trasformare quel dolore in azione è stata mia madre, Saveria, donna straordinaria che ha deciso subito di restituire la voce a suo figlio e a tutti coloro a cui era stata tolta violentemente. Con Nando Dalla Chiesa ha dato vita a “Società Civile” e, poi, con Don Luigi Ciotti e pochi altri ha fondato Libera. Mia madre è morta nel 1996 ed io sto continuando il suo lavoro, perché tutti possano vivere liberi dalle mafie e tornare a respirare aria pulita». Angela Iantosca