La ricordiamo ancora una volta perché c’è tempo fino al 15 ottobre per richiedere i rimborsi. È questa la scadenza dei 5 anni dalla sentenza n. 335 dell’ottobre 2008 con cui la Corte Costituzionale ha bocciato il trucchetto normativo che consentiva ai gestori di incassare i canoni sulla depurazione anche laddove non c’era. Una “truffa di Stato, perpetrata con la scusa di raccogliere i fondi per i futuri impianti o per sistemare quelli esistenti. Così hanno messo da parte grosse somme senza realizzare le opere promesse.
CHI PUÒ CHIEDERLO
I gestori hanno stilato le liste degli utenti che – secondo loro – hanno diritto al rimborso, indicando il numero di contratto (non il nome del titolare dell’utenza) e il Comune. Ma assai probabilmente sono più numerosi. Sono infatti moltissimi gli utenti che hanno un contratto con i gestori idrici, ma non sono (o non erano) allacciati alla rete fognaria pubblica e però hanno pagato la tariffa depurazione. Basti pensare alle aree rurali o alle periferie urbane, ai parecchi consorzi o nuclei “spontanei”, alle tante lottizzazioni abusive poi sanate, dove la gente ha pagato il condono senza però aver mai visto i servizi promessi dai politicanti e galoppini di turno. Ma anche in diverse aree urbanizzate, seppur allacciati alle fogne gli utenti non sono o non erano serviti da una vera depurazione perché il depuratore non c’era, era malfunzionante o inattivo. Solo per fare qualche esempio, è il caso del depuratore di via del Campo ad Aprilia, inefficiente sin dalla inaugurazione, che doveva servire il centro della quarta città del Lazio; nel processo penale che portò alla condanna dell’amministratore delegato di Acqualatina perché quell’impianto non solo non depurava ma addirittura inquinava. Il giudice arrivò alla condanna proprio sulla base di quanto spiegato da un operaio di Acqualtina che disse che era sostanzialmente inservibile». Nello stesso Comune, c’è il caso strano di Campoverde dove sono sì allacciati alla fogna, ma questa scarica tutto senza prima passare per un impianto di depurazione; o gli impianti di Latina Est e Latina Cicerchia, per anni malandatissimi e senza neanche tutte le autorizzazioni allo scarico; o l’impianto di Sezze Scalo (in mano alla problematicissima Dondi); o il penoso depuratore di via Bergamo ad Ardea; oppure i depuratori in zona Landi a Genzano, a Valle Vergine a Velletri, a Valle Marciana a Grottaferrata o in località Valle dei Morti a Marino sequestrati dalla magistratura ecc. ecc. Perciò chi si trova o si trovava in simili situazioni – senza fogne o allacciato a fogne ma senza depurazione – è bene che verifichi le vecchie bollette e se del caso che faccia domanda di rimborso, anche se non risulta sugli elenchi scritti dai gestori.
COME FARE RICHIESTA
Acqualatina ha pubblicato questi elenchi sul proprio sito internet, nella finestra “Utenti” in basso a sinistra della home page, alla voce “Restituzione Tariffa Depurazione”. Anche Acea Ato 2 ha messo sul suo sito questi elenchi, ma non è facile scovarli: la cosa più semplice è scrivere nella casella “cerca” in alto sulla pagina principale (home page) la parola “esonero”, oppure scrivere l’indirizzo “ “http://www.aceaato2.it/Search.aspx?q=esoner” nella striscia dell’indirizzo web. Acea Ato2 fornisce anche l’apposito modulo per “richiesta di esonero” da inviare via fax allo 06.57.99.70.33 (privati, società o associazioni) e allo 06.57.99.31.75 (amministratori di condominio). Ad Acqualatina, la richiesta si può inviare per posta con raccomandata all’Ufficio Affari Legali di Acqualatina, viale P.L. Nervi snc – centro comm. Latinafiori Torre 10 Mimose, 04100 Latina, o alla Casella Postale – Latina CPO 04100 Latina. Oppure, come propone il gestore stesso, via e-mail (meglio se con posta elettronica certificata) all’indirizzo HYPERLINK “mailto:[email protected]”[email protected], indicando come oggetto “Restituzione quote depurazione sentenza 335/2008”. In ogni caso, la richiesta deve indicare il numero di utenza (il codice contratto). Anche coloro che non risultano negli elenchi, giova ribadirlo, è bene che verifichino: coloro che sono allacciati alla rete fognaria, potrebbero aver diritto al rimborso perché i loro scarichi potrebbero non essere stati depurati (è il caso dei tanti depuratori scassati e malfunzionanti). Mentre quelli non allacciati alla rete fognaria, possono richiedere la restituzione poiché gli potrebbero aver caricato in bolletta anche il canone per fogne e depurazione inesistenti. Cosa accaduta più di quanto si creda.
I SINDACI “SCORDANO” GLI ALTRI RIMBORSI
Agli utenti idrici spetta anche il rimborso delle somme indebitamente percepite dai gestori per la “remunerazione del capitale investito”, la “cresta” abrogata con referendum a giugno 2011. Gli importi dei rimborsi dovevano quantificarli le Conferenze dei Sindaci entro il 26 settembre. Per Acqualatina i Sindaci hanno provveduto, ma hanno preso in giro i cittadini, attraverso ingarbugliati e furbi calcoli che hanno abbassato ad un euro e pochi centesimi il rimborso, che doveva invece essere di circa 20 euro ad utente. Nell’ambito di Acea Ato2 la Conferenza dei Sindaci non è stata nemmeno convocata. Il calcolo verrà determinato dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas.
ARSENICO, GESTORE CONDANNATO A RISARCIRE UTENTI E DIMEZZARE TARIFFA
Mille euro di risarcimento a testa e tariffa dimezzata fino a quando l’acqua non tornerà veramente potabile, con concentrazioni di arsenico e fluoruri nei limiti legali. Lo ha stabilito lo scorso 25 settembre il giudice di pace di Viterbo, Leonardo Colonnello, che ha dato ancora una volta ragione ai cittadini e condannato il gestore idrico che da anni spaccia acqua fuorilegge, come in vaste aree di Latina e provincia e ai Castelli Romani. A gennaio un altro giudice a Civitacastellana (Vt) ha condannato il gestore a restituire all’utente il 25% delle bollette incassate perché l’acqua aveva arsenico fuorilegge. Ma stavolta la decisione è ancora più importante: riconosce che gli utenti sono tenuti a pagare solo il 50% della bolletta se l’acqua non è in regola per il periodo in cui è accertata la non potabilità dell’acqua fornitagli, ed afferma la responsabilità per inadempimento contrattuale del gestore con tanto di diritto al risarcimento danni per «la lesione del diritto alla salute» e per «l’innegabile pregiudizio derivante dal non poter disporre di acqua potabile all’interno dell’abitazione». Una bomba. La sentenza riguarda tre utenze domestiche di Capranica (Viterbo) “servite” dalla Talete Spa, ma è in corso una raffica di analoghe cause, oltre un centinaio avviate ciascuna da tre utenti sostenuti dal Comitato Acqua Potabile, più un’altra cinquantina di utenti sostenuti dalla Uil pensionati e dall’associazione Kombat, davanti a diversi tribunali del viterbese e difesi dagli avvocati Massimo Pistilli e Riccardo Catini. Gli stessi legali che hanno vinto la causa a settembre. «Dopo la sentenza molti altri ci stanno chiamando – fanno sapere gli avvocati – e a breve avvieremo le azioni legali per le utenze non domestiche delle imprese che usano nel ciclo produttivo l’acqua, costrette ad acquistare ed installare i dearsenificatori». Ad esempio, bar, pasticcerie, panifici, ristoranti, artigiani alimentari, ecc. La vicenda può avere esiti epocali, visto che tutti questi utenti chiedono il risarcimento del danno, esattamente come i tre ai quali è stato riconosciuto dal giudice di pace di Viterbo.