L’opera infatti era stata esposta soltanto nel 1951 alla storica Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi tenuta presso il Palazzo Reale di Milano a cura di Roberto Longhi, quando si presentava sporca e con varie ridipinture, rimosse dopo il recente restauro.
Le indagini hanno evidenziato radicali cambiamenti ed estesi pentimenti, che ne avvalorano l’assoluta autografia, confermata per la sua qualità molto alta da autorevoli studiosi sin dalla sua ricomparsa nel 2003.
Ne vengono documentate per la prima volta le prestigiose provenienze: la collezione Mattei, la collezione Colonna di Stigliano e la collezione Ruffo di Calabria, per il cui tramite è pervenuta presso all’attuale proprietario.
La Presa di Cristo della collezione Mattei, nota attraverso numerose copie e presunti originali, è una delle composizioni spiritualmente più intense e ricche di pathos dell’attività romana di Michelangelo Merisi da Caravaggio (Milano 1571 – Porto Ercole 1610).
La storia della tela
Essa costituisce un vero corrispettivo a destinazione privata delle stupefacenti tele della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi (1599-1600) e della cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo (1600), che segnano una radicale svolta in termini espressivi nella produzione dell’artista lombardo, dopo la prevalenza di soggetti di genere e a tema mitologico degli anni precedenti.
In questa sede si ripercorre la controversa storia della potente invenzione caravaggesca e delle sue testimonianze pittoriche, che hanno un vertice nelle due redazioni della raccolta Ruffo di Calabria, ritrovata da Roberto Longhi nel 1943, e della Compagnia dei Gesuiti di Dublino, in deposito presso la National Gallery of Ireland dal 1993.
Le due versioni sono entrambe autografe, ma dotate di autonomia formale ed espressiva, con una precedenza della versione Ruffo, di cui quella irlandese è una replica con varianti rivisitata nelle caratteristiche pittoriche e d’impianto, migliorandone il classico decoro in senso iconografico ed estetico rispetto al carattere “espressionista” e fortemente drammatico del prototipo.
Nessuna opera di Caravaggio ha conosciuto nelle sue redazioni principali vicende collezionistiche così travagliate, con la pubblicazione di un romanzo thriller, un rocambolesco furto e una paradossale vicenda giudiziaria, che da sola meriterebbe una trattazione specifica.
La complessità d’impianto, i contenuti iconografici, iconologici e concettuali della composizione caravaggesca, che non ha corrispettivi nelle opere del Merisi a destinazione privata, paragonabile per le problematiche sottese a quelle delle pale d’altare, merita una trattazione monografica, oggetto di questo evento.
Viene ricostruito idealmente sull’altana di Palazzo Chigi l’atelier di Caravaggio, collocando la tela su una parete a fondo nero, con luce proveniente diagonalmente dall’alto a sinistra, come testimoniano le fonti storiche (Bellori, Mancini).
L’altana infatti nel passato era stata destinata anche a laboratorio di restauro di quadri, come spesso avveniva sulle altane dei palazzi romani.