Presidente, quante persone vengono nel centro islamico di Latina?
«Se ti dico la cifra, ti spaventi. Durante il giorno massimo venti persone, perché gli altri vanno a lavorare nell’agricoltura o nell’edilizia. Ma il venerdì circa 800, 1000. La maggior parte abitano a Latina, ma vengono anche dalla provincia. Qui abbiamo tre stanze più una dove pregano le donne. C’è anche la stanza dove i bambini svolgono i corsi per approfondire la lingua araba e la cultura del nostro paese e mantenere un contatto con le origini».
Quante sono le donne?
«Poche. Vengono qui solo per le feste grandi. Il venerdì cinque, o tre. Qualche volta non ne viene nessuna. Perché si occupano soprattutto delle case e dei bambini che vanno a scuola. Poi per loro non è obbligatorio che vengano il venerdì, come lo è per gli uomini. Ma nel centro c’è una stanza apposta per loro».
Voi siete stati il primo centro islamico d’Italia che ha criticato gli attentati che ci sono stati a Parigi, nella redazione di Charlie Hebdo. E’ così?
«Si. Questi attentati fanno male perché non sono veri musulmani quelli che agiscono così: sono terroristi. Quelli che ogni tanto escono fuori e fanno questi attentati come quelli in Francia o a Berlino sono tutti squilibrati e ci fanno male. L’Islam non dice questo ma è per la convivenza: tutta un’altra cosa da quello che fanno loro. Infatti noi, qui a Latina, abbiamo la situazione sotto controllo. Latina è sotto controllo e noi collaboriamo con la Polizia».
I tre tunisini che sono stati espulsi venivano a pregare qui?
«Si, sono stati qui».
C’è una parte di coloro che vengono qui che la pensano in maniera meno moderata?
«Si. Ma piano piano li eliminiamo. Sappiamo di essere sotto controllo e ci sta bene. Non abbiamo funzioni di Polizia perché ci servono delle prove ma se qualcuno non ci piace, possiamo allontanarlo piano piano».
Dall’inizio dell’anno ci sono stati tre raid vandalici al centro islamico. Che idea vi siete fatti?
«Qualche squilibrato che è passato di qua. E’ più di 25 anni che siamo qua ma non abbiamo avuto mai problemi. Escludo che sia qualcuno dall’interno che non condivide alcune nostre posizioni. Probabilmente sono italiani che vedono male la comunità islamica, ma ci sono le indagini in corso che verificheranno. Abbiamo sporto denuncia per tutti e tre gli episodi e, dopo l’ultimo, abbiamo installato le telecamere di videosorveglianza».
A che punto è il vostro sogno di una nuova moschea?
«E’ un progetto che abbiamo redatto, ma adesso è fermo. Prevede una moschea di due piani da 1.500 posti, un mercatino, dieci negozi, due piscine (una per i maschi ed una per le femmine), un campo da calcio, dei ristoranti, un dormitorio per 300 persone (familiari e singoli), una sala conferenze, una biblioteca e una scuola. C’è tutto dentro. Serve il permesso del Comune per poi chiedere all’Arabia Saudita i finanziamenti. Lo abbiamo presentato tre anni fa, poi ci siamo tirati indietro per tutto quello che è successo e al nuovo Sindaco non l’abbiamo ancora presentato. Con tutto quello che è successo si deve andare con cautela, per adesso va bene così».
Qui siete stretti?
«Si. Il venerdì, quando il tempo è bello, siamo davvero tanti. Alcuni di loro arrivano all’ultimo momento e non possiamo dire che non possono stare. Molti rimangono fuori, in strada, ma passano le macchine. Mettiamo i segnali fuori per non fare passare le macchine ma non possiamo chiedere ogni venerdì il permesso perché non ce lo danno».
Siete integrati con la città?
«Sì, sono pochi quelli che non sono integrati. Sono più di 25 anni che sono qui, ma non mi è mai accaduto che qualcuno mi abbia identificato come terrorista o abbia avuto un’idea di me sbagliata. Il fatto che il centro islamico sia fuori mano, ci aiuta. Ma abbiamo buoni rapporti con i vicini. Le persone lo sanno che qui è tutto sotto controllo. Da parte nostra e da parte della Polizia. Se notiamo che ci sono esponenti che si dissociano dal nostro punto di vista ci muoviamo in tal senso».
Da quanto tempo non c’è un imam?
«Da due anni. Adesso non lo abbiamo. Lo prendevamo dall’università di Al-Azhar, la scuola dell’Egitto, ma da quando i rapporti tra l’Egitto e l’Italia si sono incrinati abbiamo avuto difficoltà a portare qualcuno qui.
Abbiamo presentato domanda che è stata respinta e siamo in attesa. Abbiamo un imam che viene il venerdì da Roma per fare il sermone, gli altri giorni c’è uno di noi che può diventare imam per qualche minuto e svolgere le preghiere. Non è un problema. Ce ne sono alcuni a Roma che non hanno un posto fisso e, così, dove c’è necessità e mancano vanno. Quindi il venerdì siamo sempre coperti. E poi ci sono io che sono il presidente e mi occupo da un anno di mantenere le regole».
Cosa comporta non avere un imam?
«Comporta tante cose. La prima cosa è che dà l’educazione alla gente che viene qui a pregare. E’ una figura spirituale. Qualsiasi persona che ha un problema si rivolge a lui. E’ come un prete. Quando manca un simbolo, si sa, qualcosa manca. E la realtà nostra è questa».